mercoledì 11 febbraio 2009

venticinquesima puntata - le sbarre

Vedendo uno spot in tv, mi è tornato in mente un piccolo incidente accadutomi quando avevo quattro anni. Prima di raccontare l'episodio però è bene che si capisca quale era il nostro clima familiare a quel tempo. Avrete già capito che ero la "cocca" di mio nonno e di mio papà, io ero affidata alle cure fisiche di nonna Elide e mamma Udi, ma la responsabilità morale era la loro (o così almeno credevano). Compiuti i tre anni mamma e nonna decisero che era tempo che io frequentassi la scuola materna, nonno e papà non erano molto d'accordo, a quel tempo non si usava a meno di impegni lavorativi da parte della mamma, ma la mia di mamma era a casa e anche, la nonna... comunque con una botta di modernità e il dissenso neanche tanto malcelato del nonno andai all'asilo dalle suore. Fu un disastro, avevo paura delle suore... soprattutto di quella alla quale ero affidata, tutta vestita di nero, grossa anziana e anche un scorbutica, appena la vedevo mi mettevo a piangere e correvo da un'altra suorina, Suor Silvia, giovane dolce e tanto buona. In più dobbiamo metterci anche il trauma del primo giorno: ricreazione in giardino, dopo aver smesso di piangere salii su una delle giostrine... una di quelle circolari con una fila di seggiolini esterni che venivano fatti girare dagli stessi bambini a forza di braccine aggrappandosi a un cerchio fisso più interno (sono stata spiegata?). Io salii con gran difficoltà sull'infernale attrezzo, troppo alto per me, per scoprire che la ricreazione era finita e che bisognava rientrare immediatamente in classe, non riuscii a scendere... la giostra girava e girava e io piangevo e piangevo e in giardino non era rimasto più nessuno... fino a che arrivarono due bimbetti, uno poco più grande di me e uno già grandicello, e mi aiutarono a scendere, uno di loro mi diede anche il suo fazzolettino per asciugarmi le lacrime (quel fazzolettino ce l'ho ancora) mi accompagnarono in classe e mi lasciarono piangente tra le braccia di Suor Silvia... Le cose col passare del tempo non migliorarono, nemmeno andare all'asilo statale giovò alla mia tristezza cronica, finchè un pomeriggio tornata a casa fissai mia mamma e mia nonna con serietà e dissi (badando bene che mio nonno sentisse): ma voi, non vi vergognate a essere a casa in due e a me mandarmi all'asilo?
Seppure espresso in un italiano piuttosto incerto, il concetto fu recepito chiaramente dal nonno. Dal giorno successivo non frequentai più la scuola materna. Seguirono mesi di rimbrotti da parte del nonno verso mamma e nonna perchè secondo lui la mia psiche aveva subito dei traumi incancellabili, in quei quindici giorni di asilo...
Dopo quasi un anno, un sabato pomeriggio di Primavera inoltrata, mamma Udi e nonna Elide decisero di uscire per un giro di commissioni in centro e mi affidarono alle cure di nonno Armando e papà Fernando con mille raccomandazioni che caddero nel vuoto. La giornata era veramente bella, e i due incauti baby sitter mi portarono in pasticceria a fare merenda, al ritorno si fermarono sul portone di casa a fare due chiacchere con un vicino. Davanti al nostro palazzo c'era un piccolo cortiletto delimitato da una cancellata di ferro, lasciata da sola e annoiata, io pensai bene di infilare la testa nella cancellata per tirarla subito fuori, era divertente... ma la terza volta l'operazione non riuscì tanto bene, rimasi incastrata! Incominciai a urlare a squarciagola, il nonno e papà arrivarono immediatamente e cercarono di disincastrarmi tirandomi per le spalle col solo risultato di farmi urlare di più. Il vicino col quale stavano parlando, chiamò un altro vicino, una coppia di anziani che passava per la via si fermò a vedere cosa stava succedendo a quella povera bambina che strillava a più non posso, ormai si era formata una piccola folla. Iniziarono ad arrivare i primi suggerimenti, gira la testa così, gira la testa cosà, tira su, tira giù... qualcuno disse "ungetele la testa con dell'olio, scivolerà fuori", nessuno aveva dell'olio, ma arrivò una vicina con un panetto di burro che mi spalmarono abbondantemente su tutta la testa, niente da fare... arrivò anche l'olio, mi versarono una bottiglia d'olio addosso, le orecchie erano ormai incandescenti e io strillavo sempre più forte... papà corse a prendere il cric della macchina, pensava di poter allargare le sbarre con quello, stava armeggiando con l'attrezzo quando, a sirene spiegate, arrivarono i pompieri, chiamati da una vicina. Fu un gran parapiglia, nonno urlava come un pazzo, papà cercava di spiegare ai pompieri cosa stava per fare, un vicino continuava a sostenere l'utilità dell'olio, uno dei pompieri sosteneva che solo tagliando le sbarre con un flessibile sarebbero riusciti a liberarmi la testa, tutti parlavano urlavano e si agitavano e nessuno più mi guardava... mio nonno, che stava per mettere le mani al collo della vicina che gli aveva appena detto che i bambini andavano sorvegliati, si sentì tirare per una manica e si sentì chiedere "adesso possiamo tornare in pasticceria?", ero riuscita a liberarmi, ma nessuno seppe mai dire come. In quel momento arrivarono la mamma e la nonna, videro tutta quella gente davanti a casa e il camion dei pompieri, si stavano domandando cosa poteva mai essere successo, quando sentirono il nonno che inveiva, videro mio padre che discuteva con i pompieri ma soprattutto videro me, con la faccia rossa come un pollo, tutta unta di olio con pezzetti di burro nei capelli e gli occhi gonfi di pianto. Io corsi subito in braccio alla mamma e ricominciai a piangere. La calma tornò solo dopo un'ora, i pompieri se ne andarono, i passanti ripresero la loro strada e vicini rientrarono nelle loro case. Anche tutti noi rientrammo in casa, in quello che si può definire un silenzio glaciale, mamma e nonna da quelle gran signore che erano evitarono ogni recriminazione, ma i loro sguardi valevano più di mille parole!

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