domenica 16 novembre 2008

Diciottesima puntata - Un grande dolore.


Nonno Armando morì, dopo una breve malattia, quando avevo diciassette anni. Al momento non riuscii nemmeno a piangere, mi sentivo come paralizzata, avevo congelato i miei sentimenti. E' difficile spiegare quanto abbia significato per me crescere con mio nonno, i miei primi dieci anni sono stati i più felici della mia vita, anche perché potevo stare tutti i giorni con lui. Quante cose si imparano dai nonni, quanto amore si riceve e si da, forse ci si rende conto solo in età adulta di quale bene prezioso siano i nonni, di quanto siano importanti nella formazione di una persona.
I nonni si erano trasferiti da pochi anni in una casa dall'altra parte della città, un appartamento più grande e più comodo per loro, a piano terra con un piccolo cortiletto privato che mio nonno aveva trasformato in un giardino botanico. Nonno Armando passò a letto l'ultimo mese della sua vita, per tutto quel tempo Greta non uscì mai di casa, si allontanava dal letto del suo padrone solo per brevissime visite al giardinetto, non ci fu verso di portarla fuori nemmeno una volta. Quando arrivò l'ultima crisi ero in casa da sola con lui, la nonna si era presa cinque minuti di riposo per andare da una cugina che abitava al piano di sopra, feci le scale di corsa per andare a chiamarla, poi i ricordi si fanno confusi... gente che entrava e usciva dalla sua camera e io seduta sul divano del salotto con il cane in braccio che tremava, i preparativi del funerale, tanti parenti, tante parole inutili... e io e Greta sempre sul divano... per la prima volte unite,mute. Quando arrivò il momento di portare fuori la bara, mi fu chiesto di salire al piano di sopra da nostra cugina con Greta, perché aveva incominciato a mordere alcuni parenti alle caviglie. Andai sul balcone con il cane in braccio, per vedere mio nonno che usciva di casa per l'ultima volta, al passaggio della bara Greta lanciò un lungo acutissimo ululato e io, finalmente, piansi. Per i tre giorni successivi, Greta non toccò cibo, se ne stava sdraiata sul tappetino ai piedi del letto del suo padrone, per tutto il giorno, si spostava solo alla sera quando la nonna andava a letto per mettersi vicino a lei. Il quarto giorno aprendo un armadietto in cucina, trovai un pacchetto dei biscotti preferiti dal nonno, quelli che mangiava la mattina a colazione, ne portai uno a Greta, lei lo annusò e si mise a uggiolare disperatamente guardando il letto, sapeva che quelli erano i “suoi” biscotti, quelli che divideva con lei durante il loro particolarissimo rito della colazione. Il nonno si sedeva al tavolo della colazione, con latte e biscotti, il cane faceva il diavolo a quattro per attirare la sua attenzione e lui faceva finta di non vederla, anzi chiedeva “ma dov'è stamattina quel cane?”, fino a quando lui fintamente sorpreso le diceva “ah, ma sei qui...” e le dava un biscotto... lei tutta felice andava a sgranocchiare il suo premio sul tappetino della camera da letto e veniva blandamente sgridata dalla nonna... tutte le mattine così. Quel biscotto portato da me, evidentemente, non aveva lo stesso valore e lo stesso sapore, ma servì a farla mangiare di nuovo, e servì anche alla nonna perchè davanti a quel muso che la guardava interrogativamente aspettandosi un certo comportamento, fu “costretta” a far finta di sgridarla per aver mangiato il biscotto sul tappeto della camera da letto, e questo le strappò un piccolo sorriso.
La vita continuò, ma dopo di allora, niente fu più come prima.

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